Formaggio “grana” l’ossessione degli emiliani
Scritto il 7 dicembre 2015
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È l’ossessione degli emiliani, un formaggio che mai manca dalla tavola a durante il pranzo che si sta consumando.
Parlo naturalmente del Parmigiano Reggiano DOP o del Grana Padano DOP, due formaggi che appartengono alla tipologia dei formaggi, pensate un po’, a pasta granulosa, che per brevità definirò “grana”.
Va bene che la storia dell’Emilia Romagna è antica, va bene che in questa grande regione non vi sono pascoli, almeno in pianura, va bene anche che non vi sono particolari prodotti derivati dalla caseificazione, ma che il “grana” sia il formaggio esclusivo mi sembra troppo. Eppure è un dato di fatto.
Da sempre il “grana” è consumato come formaggio da grattugia da utilizzare per i primi piatti siano essi asciutti, in brodo, o frutto di miscele di verdure ma in E.Romagna è molto di più.
Da un’antica usanza il “grana” è consumato come conclusione di tutti i pasti, soprattutto quelli che oggi vengono definiti “colazioni” ovvero non vi è nativo della Pianura Padana che non gusti una scaglia del formaggio a pasta dura per concludere un pasto, anche luculliano.
Da qui il detto popolare che “la boca non è straca se non sa di vaca”.
E poi viene l’uso, forse un po’ meno storico ma più attuale, quello di scagliare il “grana” durante tutto il pasto, come faccio io solitamente, anche se non utilizzo sempre “grana” ma anche altri formaggi a pasta dura.
In questo modo il “grana” diventa l’accompagnamento di tutta la fase mangereccia, del pasto e della cena.
E qui gioca molto la qualità del formaggio che ci poniamo a fianco, quasi fosse un amico del cuore, un amico che ci fa sentire in simbiosi con il nostro alimento preferito.
Una lenta masticazione dell’alimento presente nel piatto e, subito dopo, l’assaggio di una piccola scaglia appena staccata dal formaggio.
Solo la sua vista determina all’emiliano romagnolo una succulenza che lascia inebetiti, un desiderio di assaporare, di sciogliere in bocca un pezzetto di formaggio che è molto solubile, quella solubilità che permette alla lingua e a ai ricettori olfattivi di gustare prima il sapore e poi l’aroma.
Non ha importanza se sapore e aroma sono miscelati ai sentori che provengono dal piatto o dalla tavola imbandita, l’importante è che il “grana” ci sia, quasi fosse un marchio della famiglia, quella famiglia cha ha basato la sua cultura sulla storia di una regione, di un territorio, di un alimento che viene utilizzato sempre, in ogni piatto, o a fianco del piatto.