Caprini sardi, poco conosciuti ma di grande qualità
Formaggi da latte di capra a pasta semicotta e cotta per un longeva stagionatura
di Michele Grassi
La Sardegna è un territorio ricco di sorprese, soprattutto dal punto di vista gastronomico. Le antiche tradizioni e la cultura popolare hanno determinato nel tempo un bagaglio di risorse alimentari invidiate dalla Penisola e dal mondo. Ma la Sardegna è anche Isola da primati che, guarda caso riguardano il settore dell’allevamento e di conseguenza quello del lattiero caseario. È noto a tutti che il territorio sardo è “ricoperto” di pecore che selvaticamente o meglio liberamente pascolano per nutrirsi di erbe spesso aromatiche che entrano a far parte delle importanti componenti del latte prima e del formaggio poi. Sono circa 3 milioni le pecore sarde, così definite per il loro abitat ma anche per il nome della razza, enorme numero di animali che convive con il particolarissimo ambiente naturale. Da questo incredibile numero si comprende l’importanza dell’allevamento ovino che annovera un primato, il 60% del latte di pecora italiano è munto in Sardegna. Da questa abbondanza di latte nascono i formaggi importanti come il Pecorino sardo e quello romano, DOP molto conosciute e utilizzate in Italia ma anche nel mondo. Oppure il Fiore sardo anche questo una DOP che, diversamente dagli altri viene ancora prodotto, in parte, nelle aziende pastorali.
Da questo breve specchio della situazione pastorale sarda si può passare a una meno conosciuta realtà, quella dell’allevamento caprino. Non si sa perché, forse per la più nota simbiosi Sardegna=pecora, la realtà caprina sarda non è mai stata presentata come un grande indotto per l’Isola. Si pensi che allo stesso modo con cui la pecora sarda porta un enorme indotto alla Sardegna, così è anche per la capra che vede una presenza di circa 280.000-300.000 capi per una produzione di latte invidiabile, circa il 30% dell’intera produzione nazionale.
Numeri che vedono quindi la Sardegna primeggiare nel mondo lattiero caseario italiano. Ma mentre per la pecora il riscontro caseario è evidente nei formaggi che ho già citato e per altri per lo più appartenenti alle produzioni tradizionali casearia (PAT) per la capra non vi sono formaggi conosciuti a tal punto da annoverare il loro nome e la loro tecnologia fra i formaggi a denominazione e della tradizione, se non per alcuni come il Casu axedu o il Semicotto di capra, o per l’utilizzo del latte caprino aggiunto, spesso in piccole proporzioni, a quello ovino come nel caso del formaggio Axridda. Questi formaggi quasi esclusivi della trasformazione aziendale, non hanno alcuno sbocco nel mercato italiano e tanto meno in quello sardo, per le piccolissime quantità prodotte che spesso sono ancora utilizzate per l’alimentazione famigliare dei componenti dell’azienda allevatrice. Oggi, in Sardegna il latte caprino, spesso munto dalla razza autoctona la Sardo-maltese, viene raccolto giornalmente per lo più da un’azienda, Amalattea, che lo lavora per trasformarlo in latte alimentare e formaggi. I formaggi prodotti seguono in parte la logica del mercato e in parte quella della tradizione, soprattutto per due tipologie, la prima a pasta semicotta, come la si faceva alcuni secoli fa e in linea con il Semicotto di capra, produzione agroalimentare della tradizione, denominata Il Saggio e la seconda denominata Re Priamo, rappresentativo dell’azienda, a pasta cotta di lunga stagionatura. Quest’ultimo è un formaggio dalla pasta dura e friabile, granulosa e molto solubile con sensazioni importanti ma mai eccessive nonostante la maturazione di oltre un anno (vedi recensione). Formaggi caprini dunque, quelli sardi, che insieme a quelli di derivazione ovina possono rappresentare degnamente un’isola e le sue specialità gastronomiche.